le mie Marche

Sette domande a…. Antonio Luccarini

Arte e CulturaIn evidenza

Chiediamo a Antonio Luccarini, lui che da sempre è immerso nella cultura di Ancona e delle Marche con trasporto vero e con conoscenza profonda, di evocare ciò che è alternativo al mero vivere quotidiano, una spinta capace di risvegliare le sensazioni che fanno parte del nostro patrimonio ora latente o dimenticato.

  • Antonio, che dire? Come siamo messi  dal punto di vista culturale in questo momento storico?

Siamo messi come sempre. Ancona da questo punto di vista è sempre uguale a se stessa. Ci sono momenti in cui effettivamente sembra che sia capace di una maggiore attenzione, di un’apertura.

Quando sono stato assessore sia il sindaco Galeazzi che il sindaco Sturani capivano che la cultura dal punto di vista politico era strategicamente importante, ma era un periodo di vacche grasse e c’erano risorse che potevano essere orientate in quel senso.

D’altra parte Ancona per tanti anni non aveva avuto neanche un assessorato alla cultura, aveva solo un assessorato alla pubblica istruzione e quindi era stata per tanti anni digiuna. Io per fortuna sono entrato in un momento in cui si erano avuti precedenti funzionali: penso all’assessorato di Pietro Zampetti, penso all’assessorato di Giorgio Mangani, che era stato capace di mettere insieme cultura ma anche imprenditorialità, anzi cultura e sogno imprenditoriale, perché la cultura quando si accompagna a cattivi viaggiatori rischia di perdersi, la parte del leone la fa sempre l’economia o il mercato e l’imprenditore  e la cultura vera passa in secondo piano e rischia di essere asservita.

Comunque, senza entrare nelle polemiche, a quei tempi era più facile fare delle operazioni culturali perché si veniva ascoltati prima di tutto dalle istituzioni e poi soprattutto dalla città. La città respirava un vento nuovo, c’era da aprire il Teatro delle Muse, c’era da mettere in piedi l’organizzazione della Mole.

Adesso mi rendo conto che la situazione è molto più difficile. Le risorse sono poche in tempi di vacche magrissime.

– E le sensibilità ora sono cambiate?

Le sensibilità sono diverse da allora perché in questo momento quello che appare sono le urgenze più forti, per cui la cultura passa passa in secondo piano, senza pensare però che bisognerebbe essere lungimiranti perché i guasti che fa la mancanza di cultura sono l’ignoranza e la maleducazione. Mancano centri di “paideia”. In passato, quando non c’erano le istituzioni a fare formazione e cultura e quando la scuola non aveva mezzi sufficienti, c’erano i centri importanti di formazione come le chiese, gli oratorii e le scuole di partito dove i giovani potevano essere orientati.

– Tu che sei instancabile uomo di cultura, ci vedi addormentati?

Non più di tanto, almeno non in modo drammatico. Ancona molte volte sogna, e quindi ha a che fare con il sonno, molte volte invece è un dormire senza sogni e questo è pericoloso e deprimente. Bisogna intendersi su questo: la cultura a Ancona ha a che fare molto con il presente immediato, invece la cultura è il modo con cui l’uomo, il cittadino può vivere la tridimensionalità del tempo: il passato, il presente e il futuro. Adesso il futuro sembra quasi negato purché c’è solo foschia: nessuno sa cosa accadrà, siamo sempre in stato di sospensione. Il presente è sì l’unica certezza, ma il presente non basta. Se fossimo solo nel presente dimentichiamo quello che abbiamo davanti e non sappiamo che strada prendere. E quindi c’è bisogno di dare questi respiri avanti e indietro.

– Se fossi ancora assessore alla cultura,  qual è la prima cosa che faresti?

La prima cosa su cui punterei è la valorizzazione di ciò che già c’è: questo è importantissimo. Faccio degli esempi: pensate che ad Ancona chi sa che ha lavorato nella nostra città come impiegato Stendhal? Lavorava al porto durante il periodo napoleonico. Chi sa che l’amante e la mecenate che gli ha permesso di fare la prima mostra a Parigi nel caffè de Tambourine era un’anconetana, Agostina Segatori, una modella partita sedicenne dall’Italia che aveva raggiunto la zia a Parigi.  Noi ignoriamo tante cose delle glorie passate. Ad esempio Ciriaco Pizzecolli: chi è a conoscenza che la nascita dell’archeologia è anconetana perché è Pizzecolli che l’ha promossa come scienza.

Quindi bisognerebbe ripartire soprattutto dalla valorizzazione dell’esistente.

– E la seconda cosa che faresti?

Poi naturalmente la valorizzazione dell’esistente non basta, bisogna  anche spostarsi al futuro. E il futuro è programmare, individuare le forze che in questo preciso momento ad Ancona promettono qualcosa. Quindi fare una raccolta delle forze che sono interessate a produrre cultura ma non a riproporre i soliti schemi, ma percorrere anche strade nuove, non esclusivamente nella cerchia anconetana, perché le mura, che sempre hanno costituito un carattere di chiusura e provocato l’asfissia della città da una parte esistono ancora, anche se non sono visibili ci sono perché l’anconetano al di là della propria città non guarda niente. E questo è un limite enorme e pesa moltissimo quando provoca la difesa delle condizioni dell’esistente “Va così? Va bene così”. No: non bisogna essere del tutto conciliati con il presente perché bisogna vedere al di là, al di là delle mura visibili e non visibili. Quindi in realtà puntare anche a qualcosa di nuovo, l’inventiva, la capacità creativa. Queste possibilità ci sono: bisogna farle emergere.

  • Ancona è l’unica città delle Marche con un porto importante per il medio Adriatico, una volta facente parte della triade con Ragusa e Venezia, ritieni che questo punto strategico debba essere utilizzato solo dalle autorità marittime o che possa essere a disposizione anche della popolazione?

Il porto è l’identità vera della città perché tutta la sua vita, la sua storia, la sua cultura, le sue prospettive economiche vedono nel porto l’elemento centrale, il motore d’avvio di tutto. Per cui il porto non può appartenere unicamente ai progetti di un’autorità portuale o a quelli degli operatori portuali. Il porto è la città stessa e nel porto la città deve avere la possibilità di frequenza, naturalmente nel rispetto di quello che c’è. Però non può essere una zona di interdetti perché il porto è l’identità della città.

  • Grazie per le tue illuminanti riflessioni. Adesso ti chiediamo di formulare un augurio ad Ancona e alle Marche

Il mio augurio è che le Marche e Ancona diventino finalmente quello che veramente sono, che non reprimano niente del proprio potenziale.

Articoli correlati

1 commento

MIMOZA 13 Settembre 2023 at 6:02

Carla come sempre sei sorprendente.

Rispondi

Lascia un commento